Domenica pomeriggio , sulla tavola sparecchiata, col pc circondato dalle briciole, mi ritrovo supportata da Senior, a prenotare via internet un biglietto del treno per Roma : lunedì mattina scendo, lunedì sera risalgo. L’evento non è allegro ma non posso e non voglio mancare. Però… che comodità l’alta velocità! In meno di 3 ore arrivo e ho anche il tempo di raggiungere casa della zia a piedi dalla stazione… così potrò finalmente attivare il mio gps mentale e cominciare a sentire che posso orientarmi a Roma senza più girarla come un bambino sulle giostre, quando, senza più capire nulla in quella giocosa vertigine, ogni tanto vede ricomparire un volto o un oggetto che lo conforta di non essere solo.
Io ho la fortuna di essere stata a Roma tantissime volte, dall’infanzia ad oggi ho potuto godere della sua luce e della sua spettinata bellezza, un po’ turista un po’ no: ho visitato monumenti e uffici comunali, ho mangiato raramente in trattoria e più spesso fatto la spesa al supermercato sotto casa, mi hanno aspettato in doppia fila e ho bevuto il caffè in casa chiacchierando col traffico vivace di sottofondo.
Roma è come la val di Fassa : mi appartiene ma io non appartengo a lei.
In stazione, sotto le volte progettate da Calatrava fa molto freddo ma il treno arriva puntuale e non ho il tempo di congelare. Viaggiare mi piace moltissimo, ogni volta mi pento di farlo troppo poco ma questo poco in realtà mi permette di emozionarmi sempre ad ogni partenza. Salgo determinata a godermi questa breve trasferta, che ha l’incredibile possibilità di attraversare mezza penisola in pochissimo tempo. Quando andavo da bambina per Natale e salivamo sui vecchi vagoni che sapevano di ferro e freni, ci aspettavano almeno 7 ore da passare su quei sedili scivolosi.
Viaggio leggera. Non ho valigia perché torno stasera, solo un libro e gli occhiali nel caso le lenti a contatto comincino a darmi fastidio. Qualche crackers per pranzo e niente acqua: odio dover andare nelle toilette del treno.
Il vagone, come l’intero treno, è tutto pieno, solo il mio posto numero 30 è libero . Mi tolgo l’ingombrante giaccone e mi sistemo .
Il mio vicino è di sicuro un nordico. Lo deduco dal biondo cenere, dalla postura ordinata e ben dritta della schiena, e dalla giacca apparentemente classica : davanti apparentemente classica ma dietro ha un inserto diciamo insolito, dubito proprio venga da una sartoria italiana. Questione di gusti. Poi osservo bene e mi godo il successo : sta lavorando sul sito di Ikea in una qualche lingua dal ceppo scandinavo.
Mi accoccolo godendo il calduccio del treno , è presto per leggere preferisco osservare i campi bianchi e verdi che scorrono fuori dal finestrino. Per arrivare a Roma in meno di tre ore il treno deve essere velocissimo ma è così stabile che non si avverte . Penso che potrei avere anche un po’ paura come in aereo, ma poi mi dico che sarebbe una perdita di tempo: mi rovinerei il presente con presagi inutili.
Mr Profondo Nord scende a Bologna e mi lascia il posto a fianco del finestrino libero, ma siccome qualcuno potrebbe salire per occuparlo dopo di lui resisto nel mio lato corridoio.
Non so ancora quanto Mr Nord sia stato fortunato.
Il treno corre veloce, attraversa l’Appennino , la neve trasforma il paesaggio montano con tinte medioevali, io intanto leggo e le pagine girano lente fino a Firenze.
Da Roma i whatsapp mi parlano di neve, il parentado non sa ancora del mio arrivo perché voglio fare una sorpresa, sopratutto non voglio si preoccupino per me: ho tutto il tempo per arrangiarmi da sola.
Firenze. Nessuno sale per occupare il posto accanto e siccome la prossima fermata è il mio arrivo mi sposto senza scrupoli.
Ho letto abbastanza e dalla mia nicchia posso osservare il paesaggio ormai fuori dalle gallerie, oppure i miei vicini di posto: alcuni li vedo altri li sento.
Quelli che vedo sono una simpatica coppia sulla sessantina vestiti da montagna: lei con pile a pellicciotto fucsia, occhiali con strass , ben truccata e dal fare allegro ma deciso; il marito l’ho notato subito salendo perché sembrava essere sceso da poco dal pascolo: pulito ma con calzoni di velluto verde a larghe coste, una bella camicia a scacchi rossi e neri tesa a coprire lo stomaco prominente, giacca a vento (con questo caldo?) e un berretto di lana giallo pulcino accoccolato sulla testa che lasciava cadere la sua abbondanza stile puffo sulla fronte. I loro commenti a voce alta facevano intendere che erano saliti a Torino, ma in realtà scoprirò poi che venivano da ben più su in Val d’Aosta… erano quel tipo di persone che cercano in tutti i modi di coinvolgere i vicini, come se restare da soli in disparte fosse poco gentile, o forse per coprire l’imbarazzo di una situazione poco conosciuta. Ma io resisto: mi diverte molto di più osservare chi casca nella loro rete e mi concentro sulla lettura. Ma per ascoltare e osservare di sottecchi non ascolto le parole scritte e devo continuamente rileggere la stessa riga. Ogni tanto fingo interesse per il panorama che a dire il vero non è così interessante: paesi anonimi, casolari che confinano con la ferrovia, niente di bello…a meno che non lasci la mente immaginare le vite dietro quelle finestre , dietro quelle tende dove amori, voci, paure destini vivono e si intrecciano paralleli ai miei…un cane randagio…qualche gallina…immagini vive che per un attimo fanno parte di me e poi scappano via mentre io lascio lo sguardo ascoltare e il cuore fantasticare. Il treno rallenta. Non ci faccio caso. Ma ben presto si ferma e comincia il primo annuncio di ritardo. 20 minuti. 45 minuti. Un’ora e mezza. Avanziamo a singhiozzo. Lunghe pause alternate a brevi corse. Cominciano i whatsapp che avvisano dei ritardi prima ancora che il capotreno venga ad informaci con garbo e cautela che si è rotto un treno davanti a noi e che siamo in coda. Poi che saremo deviati sulla linea normale e che quindi , come un SUV in un vicolo stretto , cerchiamo di avanzare tra i treni di linea che hanno la precedenza. A un certo punto restiamo fermi per quasi un’ ora in una galleria in attesa di poter fare ancora qualche metro. Siamo ormai rassegnati alle 4 ore di ritardo e persino quelli che annunciavano denunce e proteste , si sono calmati e si accontentano di brontolare, alzando qualche volta la voce con spruzzi di rabbia :” il governo..se c’erano loro sul treno…e io pago le tasse…il solito schifo…ma i soldi dove vanno…per poca neve tutto ‘sto casino…” Quello che mi colpisce è questa italica rabbia rassegnata : si alza la voce ma poche conseguenze, eppure ci sono persone che stanno perdendo importanti riunioni di lavoro, c’è una ragazza che sta andando al concorso INPS, una di quelle chimere che ogni secolo si risvegliano per molti illusi e pochi raccomandati : lei è una speranzosa e questa speranza mi commuove! Spero non la perda , spero che questo ritardo le faccia perdere un concorso e conoscere l’amore della sua vita!
Spero speri sempre!!
In questa galleria non mi accorgo subito che si crea un silenzio insolito. Non voluto. Per questo è insolito. E’ un silenzio imposto : in galleria non c’è segnale : i cellulari sono in coma farmacologico. La gente non sapendo più cosa digitare , in questo contesto di difficoltà condivisa come nella sala d’aspetto del dottore, si rianimano le vecchie modalità di interazione: “ Qualcuno ha della monete da cambiare per prendere un caffè?” “Qualcuno ha un caricabatterie da prestarmi?” Passa una hostess e regala salatini e biscottini per ingannare il disagio, le faccio un sorriso ringraziando e colgo un sorriso di sollievo di rimando : era pronta all’ennesima recriminazione ma questa volta può stare tranquilla. Passa il tempo , ormai un’ora di sosta vale come 5 minuti, ma non appena il treno si muove uscendo dal buio l’atmosfera si riempie di nuovo di trilli musichette e suonerie: un concerto allegro e disarmonico senza controllo e un vociare agitato che rivela il sollievo dopo l’isolamento!
Annunciano che arriveremo a Roma Tiburtina, Termini è fuori uso. Con 7 ore di ritardo totalizzate siamo tutti amici e non dico che ci dispiaccia ma potremmo quasi organizzare una pizzata per festeggiare: tanto ormai tutti abbiamo perso i nostri appuntamenti e una giornata così ce la ricorderemo noi come quelli di Trenitalia!!
Ognuno raccoglie in silenzio le proprie cose, i bambini hanno le guance rosse e accaldate, cala il silenzio perché ancora non ci crediamo…
Il treno rallenta su binari non suoi, e in piedi tra i sedili ci salutiamo. L’atmosfera di confidenza e familiarità svanisce in fretta col freddo che ci investe sul binario. I volti fino a un minuto fa conosciuti e riconoscibili si mescolano nella confusione del marciapiede e tutti ritorniamo anonimi personaggi nella folla. Ognuno adesso deve resettare i suoi programmi, capire che mezzi prendere cercare un bus, una metro , un taxi…torniamo avvolti e isolati dai nostri pensieri, desiderosi solo di un pasto caldo e una doccia.
Resta lo spazio per qualche battuta sotto ai tabelloni : io per esempio sono arrivata dopo l’orario previsto per il mio ritorno . Non ho pigiama , nè spazzolino nè tutto quello che serve per arrivare a domani dignitosamente. E mi godo un mini shopping obbligato con mia cugina arrivata in soccorso.
Roma è fredda. Non l’ho mai sentita così fredda, ma c’è qualcosa nella sua fisionomia che la rende comunque unica e riconoscibile: i negozi, la luce, i palazzi…e sono felice! Felice di dovermi fermare qui coi miei familiari, di poter mangiare la pizza bianca e bere un ottimo caffè, di restare qui nel cuore della storia e farne parte per un poco.
Ma quei volti che erano con me sul treno? Come fili intrecciati in una rete ci siamo incontrati e toccati, le nostre direzioni si sono poi allontanate , parallele…ma quel nodo che ci ha unito resterà, in qualche modo ha influenzato i nostri passi nella neve della città, ha lasciato un ricordo, o quantomeno un racconto, un sorriso un pensiero…intrecci paralleli nell’arazzo variegato della Vita.