Riflessioni

Non è sempre troppo tardi.

martedì 15 gennaio 2019

 

Certe volte mi guardo indietro e mi chiedo “ma…perché?”

Perché a 14 anni ho lasciato che mi comprassero quelle orrende scarpe grigie di finto serpente con un po’ di tacco …io coi miei kili di troppo e con uno stile tutt’altro che rock?

Perché mi sono iscritta a giurisprudenza, io che non ho memoria né un gran metodo di studio? Io che ho bisogno delle regole per sentirmi sicura ma che amo le sfumature per sentirmi viva?

Perché ho smesso di andare a danza che mi piaceva tantissimo e lasciava che io e il mio corpo potessimo stare insieme in armonia con le note?
Questa volta però so il perché…temevo il saggio…temevo il momento del palco quando tutti ti guardano e non puoi sbagliare, quando tutti avrebbero visto non proprio Carla Fracci e magari avrebbero riso…temevo il confronto, il giudizio, in fondo temevo la verità. Stupidamente non mi è mai passato per la testa che avrei potuto farcela, che forse guardavano anche le altre e non solo me, che i passi li ricordavo e che, nonostante il fisico, potevo esprimere qualcosa.

Stupidamente non ho rischiato di “vincere” per timore di “ perdere”. E non solo su quel palco.

La mia carriera sportiva annovera i più svariati tentativi: ginnastica artistica è stata accantonata per la difficoltà nel fare la capriola all’indietro e nel confondere la destra con la sinistra; poi ho provato il tennis con la mia bellissima racchetta verde e blu, ma ricordo ancora come uno schiaffo il maestro che dice a mia mamma “ è meglio che cambi sport…”; poi la pallavolo, ci giocavano tutte le mie amiche e, nonostante fossi alta e avessi un buon palleggio, l’ho passata in panchina temendo di dover salire in campo ma frustrata di non poter far nulla; tentai le campestri e lì ero utile: mi ero ufficialmente incaricata dell’ultimo posto, così tutti gli altri erano contenti e non mi vedevano correre. Solo una volta, alla mia ultima corsa, decisi di mettercela tutta e superai tre ragazze così da diventare meno ultima del solito e finire in gloria la mia carriera. Peccato che si ritirarono tutte e tre e fui ultima comunque.
Infine il nuoto, da adulta. Ma quando l’istruttore a bordo piscina mi disse “ si…vai bene…dobbiamo solo correggere le braccia e le gambe…” mi rassegnai al mio destino sportivo decisamente traballante senza tanti rimorsi. Mi dicevo “ beh, almeno ci ho provato!”.

Balle. Non ci ho mai provato davvero. Il timore del fallimento mi faceva partire col freno tirato.

Poi un anno siamo andati in montagna e complice una mia amica insegnante di ginnastica ho cominciato a correre. Non posso dimenticare la prima volta. Lei bellissima e atletica. Snella e agile. Outfit impeccabile e tecnico. Io appesantita dalla seconda gravidanza. Assolutamente né agile né snella. Outfit improvvisato con quel che avevo. Ma quel sentiero, quel bosco fresco e illuminato dai raggi del sole che, obliqui, si alternavano alle ombre , quella pace…tutta quella bellezza copriva la mia fatica e mi aiutava ad andare avanti. Cinque minuti. La prima volta ho corso cinque minuti e credevo di morire soffocata. Lei poi è andata avanti,la ricordo svanire nel bosco leggera e veloce senza fatica. Io invece , ansimante,  per la prima volta non ero frustrata, anzi desideravo riprovare, aggiungere minuti, insistere. Sicuramente la bellezza del posto e la gentilezza della mia amica avevano evitato l’umiliazione, tanto che per ringraziarla decisi di mettermi di impegno. Di minuto in minuto ricordo che arrivai a correre un’ora nel giro di un mese, sempre nei boschi supportata da  gambe di costituzione comunque robusta. Poi l’inverno, la terza gravidanza, la mia indole tranquilla mi hanno riportato spesso a rimettere le scarpette ma così, saltuariamente.

Un mese fa dovevo fare la notte in ospedale e mi ero bevuta due caffè a cena sperando di restare sveglia e magari leggere. Macchè. Buio in camera. Il cellulare in carica era lontano per poter farmi da torcia. E così ho cominciato a pensare. “ Ho voglia di correre. Una corsa lunga, di resistenza…mio papà ha sempre detto che son un mulo in montagna: vado piano ma resisto ore. Metto le mani dietro la schiena e non c’è salita che mi spaventi, anzi! Ho voglia di provare una maratona…o almeno una mezzamaratona…” si dice che la notte porta consiglio, ma è anche vero che la notte distorce le cose: ingrandisce, deforma, nasconde e rivela…nel buio che sapeva di disinfettante forse deliravo un po’ considerato che non correvo da tempo e che la spalla destra mi dava molto da fare. Ma tant’è, la notte passò. Rimbecillita dal sonno incompleto, leggermente ubriaca dalla stanchezza, racconto questa strana idea al fisioterapista mentre, concentrato, cercava di raddrizzare l’omero. Parlai  più per rompere il silenzio e forse anche per il bisogno di qualcosa che sapeva di futuro in un periodo che era imbibito di incertezze. Mi aspettavo che rispondesse come il maestro di tennis. Ne ero abbastanza certa. Invece: “ Perché no? Ci puoi provare…piano piano ce la fai!” Dentro di me piombò il silenzio. Euforia e panico. Ma si dai…buttati! Per una volta buttati! E che sarà mai!! non devi mica salvare il mondo!! vero…ma sarò seguita e osservata…come quel palco, come quella piscina…ma se non ci provo adesso non lo faccio più! Ok allora si parte! Comprarsi da sola le scarpe giuste ,cominciare a tenere i tempi , condividerli, accettare la fatica e la delusione, non mollare…mai fatto prima. Mai fatto così. Quanto mi sono persa!! Adesso però mi riprendo tutto. Tanto corro per me. Mi fa star bene…
Invece dopo un po’ di allenamento, sempre armeggiando con un omero impertinente, mi butta lì ” C’è una corsa, anche non competitiva…un trail, si sale e si scende, puoi camminare se vuoi, è molto divertente!!”
Ammutolisco. Non è frequente che stia zitta. I pensieri si accavallano: competizione…gara…tanta gente…confronto…mi vedranno…saranno tutti allenatissimi …paura…scuse…alla mia età…balle!! Non mi faccio più fregare. Questa volta ci provo!! Ma quella domenica mattina, alle 8,30 con un alba meravigliosa e il termometro che segnava -2, ferma nel parcheggio osservavo chi arrivava e mi chiedevo cosa cavolo ci facevo lì. In testa cominciavano a ronzare alcune scuse “ ho la cervicale…non ha suonato la sveglia…mi è venuta una vescica…non ho trovato le scarpe…” eppure, convinta che la paura è menzognera, sono scesa dall’auto e l’ho fatta. L’ho fatta tutta. Correndo e camminando, accettando cioè il mio limite. Inseguendo chi andava più forte per imparare a dare di più. Un passo dopo l’altro, insieme a chi faticava con me, imperfetta come tutti, tenace come non mai…ce l’ho fatta!

Non ho salvato il mondo ma ho salvato me stessa dalla delusione.

Non mi interessa la classifica ma adesso so che posso accettare la sfida, che ho anche un timido coraggio se voglio, che ci posso mettere la faccia!.

Aveva ragione papà: sono un mulo. Vado piano ma poi arrivo anche in alto. C’è chi ha capito queste cose molto prima di me, ma non importa è bellissimo così! Ha senso così! Se non ci fossero stati tutti quei “fallimenti” prima non avrei adesso la stessa soddisfazione e serenità. Ne è valsa la pena, e non posso che ringraziare F. per quella prima corsa nei boschi preludio inaspettato di tanta soddisfazione e A. per aver sistemato inconsapevolmente oltre all’omero anche altri tasselli fuori posto.

E allora, nello sport ma sopratutto nella vita…ad majora!!

  1. Cara Benedetta, si può dire che in tutti questi anni ti ho conosciuta e seguita attraverso il grande amore che tuo padre aveva per te. Ti avevo vista bambina e ragazza: eri così serena, aperta, positiva, piena di slanci verso gli altri e la vita. Ti ho poi rivista e ascoltata, insieme a Eleonora, ai funerali della mamma e del papà, il nostro Mario. Leggendo adesso questo “ritratto” di te stessa, per me totalmente inaspettato e diverso dall’immagine che avevo di te, posso dire che soltanto ora ti conosco, ironica, spiritosa, acuta, sensibile, una donna completa. Grazie. Ciao, Rosaria

  2. Cara Begno, ero rimasta indietro, ai motivi famigliari per intenderci.
    Che bello leggere ora del coraggio che viene a poco a poco, e della gioia che si prova quando ci si butta, e non è mai tardi quando ci si mette in gioco e alla fine si scopre che non sono tutti lì a guardare te
    Grazie
    Lucia

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