Siamo in montagna, 1320 s.l.m.. È metà Gennaio ormai.
Il cielo è tipicamente grigio, gonfio della neve che non riesce a nevicare. I monti sono grandi pandori appena inzuccherati, i boschi di abeti sono verdi scuro, quasi neri.
I prati non sono verdi, ma nemmeno marroni. Hanno un colore indefinito: la natura in questo periodo aveva previsto che fossero bianchi e non ha pensato a un colore di emergenza. L’erba estiva ormai stanca aspetta la neve per riposare. Le piste da sci sono innaturali nastri bianchi distesi sui pendii..il tempo è sospeso, in attesa..il respiro è trattenuto..poi finalmente qualche piccolo e timido fiocco comincia a scendere. Indugia..come aspettasse altri fiocchi coraggiosi..e piano piano nevica!
La Natura sospira di sollievo e,come uno che tarda ad addormentarsi , si gira sul fianco e si lascia coprire dalla bianca coltre invernale e sogna.
Solo l’ acqua fredda delle fontane continua la sua musica, costante, tranquilla, rassicurante nel silenzio del sentiero.
In questi giorni il paese non ha turisti lasciando gli abitanti liberi di parlare la loro lingua, il ladino. I bambini vanno a scuola, i negozi chiudono alla Domenica. Io cammino senza ombrello ma senza bagnarmi in questo silenzio ovattato. Anche gli uccellini tacciono: gonfiano le piume e tra i rami sperano nelle nostre briciole. Prendo coraggio e chiamo Mario, Mario Brunel. La telefonata è breve anche perché mi spiace disturbare questa neve tanto attesa. E poi ci metto poco a mettermi d’accordo con lui: verrà a casa mia e mi racconterà . Purtroppo il suo laboratorio è un garage senza riscaldamento e penso che non sono abbastanza eroica per andare li con questo freddo. Magari ci torno in primavera! Lo aspetterò alle tre del pomeriggio , in cucina è più accogliente e fa un bel caldino
E mentre le mie impronte segnano il sentiero immacolato guardo per terra e mi chiedo cosa chiederò .
Alle tre fuori nevica e tira vento forte. Mario puntuale bussa alla porta e il suo sorriso candido tiene fuori il freddo.
Conosco Mario da sempre. O meglio , so da sempre che dipinge , ma in effetti è la prima volta che lo vedo senza il suo camice col quale proteggeva i vestiti, bianco in origine diventato poi una tavolozza di colori. Ha dipinto porte , armadi, cassapanche… muri, finestre e intere facciate di case e alberghi qui in valle.
La mia preoccupazione sul cosa chiedere si dissolve nella sua voglia di raccontare, e io sono così concentrata che mi scordo di prendere appunti.
Non importa: sto vedendo un film e non voglio distrarmi!
Mario nasce alla fine della seconda guerra e può frequentare serenamente elementari, medie e poi il liceo artistico del paese. Scelta naturale perché dalla fine del ‘700 questa valle, la Val di Fassa , è stata la valle dei “pintor” : artisti, artigiani, pittori e decoratori che per sbarcare il lunario nei lunghi e inoperosi mesi invernali emigravano a piedi verso l’Austria armati di pennelli e colori per abbellire le case oltre confine, ma anche per imparare nuove tecniche o copiare nuove mode. Alcuni erano così bravi che lavoravano anche d’estate e si racconta che questa vita vagabonda e lontana dalla famiglia li rendesse anche personaggi brillanti e curiosi. Se non fosse stato per loro la fame , la miseria e la malattia avrebbero lasciato questi luoghi grigi e tristi. Invece i loro fiori e i loro simboli, sacri e profani ma sempre colorati , adornavano e proteggevano case, oggetti da lavoro, culle, slitte..tutto ciò che sarebbe stato di legno grezzo o intonaco bianco diventava allegro e colorato, ingannando le fatiche del quotidiano. Quante storie avranno raccontato tornando alle loro famiglie, quante avventure vissute con la loro bisaccia al collo, quante fatiche e pericoli coi loro scarponi chiodati macchiati di rosso Latemar o blu Fassa.
Ecco, da questa tradizione nasce l’esigenza di un liceo artistico a Pozza di Fassa e Mario completa lì i suoi studi. Impara a usare colori e pennelli, ma anche scalpelli e bulini. Da un artigiano fiorentino impara i segreti della doratura, e sebbene sostenga che sia un’arte molto semplice si deve comunque capire quando stendere i due strati di bolo prima di usare l’impalpabile e preziosa foglia d’oro. Impara l’arte dell’ anticatura, ma non si accontenta di decorare e poi ‘rovinare ‘i mobili, e va in cerca di veri mobili antichi per studiare dove davvero le mani e i gesti contadini lasciavano il segno modificando le forme del mobile, così da poterne imitare le crepe ad arte.
Mario respira l’arte della decorazione , sa come si facevano i colori e le basi partendo da pietre o piante locali, ma sa anche adattarsi alle nuove tecniche moderne e sa sperimentare. Mario sa riconoscere se la rosa che dipinse sulla porta rossa di casa nostra è fassana o austriaca e sa farmi notare che invece quella sulla porta verde è Svizzera.
Mario sa lavorare col marmorino , una base color marmo rosa coperta dall’intonaco bianco che tolta ad arte fa emergere greche ,foglie e ghirigori , geometrici e aggraziati, come un pizzo che lascia intravedere i colori sottostanti. Un lavoro lungo, paziente, delicato destinato a durare nel tempo e forse proprio per questo non più richiesto ahimè ! Eppure Mario si illumina raccontando , assapora ancora il gusto e la passione nel cercare nuovi spunti e nel far bene le cose. Le mani gesticolano tanto che se avessero avuto un pennello avrei ora la cucina tutta a fiori! Mario va orgoglioso dei suoi lavori e anche se non ne ha firmato nemmeno uno sono tutti figli suoi : dove prima c’era un muro o un legno grezzo lui ha lasciato un decoro, un colore, una luce nuova, un sorriso di montagna: discreto ma non meno sincero.
Mario poi ha studiato le meridiane e ha cominciato a dipingerle. Ha viaggiato per vedere come sono state fatte. Ha sfogliato libri che pochi prendono dagli scaffali. Ha studiato la luna per fissare il sole a mezzogiorno. Ha dipinto il tempo sul muro della chiesa ricordandoci che tutto passa e ritorna, a Dio piacendo!
Perché senza il Sole il tempo si ferma e il cielo è pesante.
Mario ha negli occhi e nelle mani un’arte che sgorga dai passi lenti e cadenzati dei montanari e sa raggiungere vette bellissime da ammirare in silenzio.
Mario forse è l’ultimo pintor, ma sua figlia ,dopo aver lavorato con lui , ora insegna al liceo artistico e confido che il guizzo di luce negli occhi azzurri di suo padre passi con lei a scuola, dove magari si annida un giovane “Mario” in cerca di un modo nuovo di decorare e di abbellire.
In fondo anche le tradizioni più solide vengono da particolari momenti che si vorrebbero immortalare per sempre, ma che poi nel presente cambiano e assumono nuovi sapori, come le scarpe da ginnastica ai piedi del suonatore di trombone nella banda in costume del paese.
Così due ore volano via , mi porta anche un libro che racconta e spiega i suoi precedessori , me lo affida perché anche io possa gustare con gli occhi la sua storia.
Saluto Mario che esce nella tormenta col sole ormai dietro i monti e mi saluta col più bel saluto che potessi desiderare :
” Quando torni chiamami, che ti racconto ancora!”
Non vedo l’ora: le Dolomiti e le mani di Mario nell’ aria.
bellissimo! mi sembra di essere stata con voi in cucina!