Se il buon giorno si vede dal mattino la giornata comincia in modo sospetto: la sveglia non suona ( o non la sento..) e mi tocca catapultarmi giù dal letto alla velocità di un bradipo. Io, col solito metabolismo da diesel, faccio davvero fatica e scendo le scale con un lieve malumore e un tentativo di fare più in fretta del solito, senza sbagliare i gradini delle scale, con gli occhi socchiusi e il cervello in “loading”. Davanti alla tazza di tea bollente (ci manca solo un ustione alla lingua) mi faccio la lista delle cose da fare e tento di razionalizzare il tempo. Vabbè, c’è la posso fare, caffè e via. Batto il record di lavaggio/trucco/parrucco e outfit. Risparmio tempo sull’outfit, oggi non sono ispirata, lowprofile. Il letto sgualcito in un gesto rapido ed energico ritorna come appena fatto: il piumone ha un suo perché. Borsa , telefono, lista chiavi e via. Casalinga per me significa questo: tante piccole-medie-grandi cose da inanellare lungo la giornata, tutti me ne renderanno conto e io per ottimizzare devo pensare a dove devo andare, che strade fare, dove c è più traffico, come ottimizzare il percorso e prevedere pure gli imprevisti , i parcheggi, la spesa e il tempo per mettere a tavola le solite bocche alla solita ora: meglio non ritardare perché anche il mio pranzo è un tassello nella loro giornata che ha un posto preciso e limitato . Un cubo di Rubik in movimento lento o veloce ma inesorabile. Bene, ingrano la marcia e vado per tutta la mattina . Spunto sulla lista le cose fatte: soddisfazione! E panico: se ne aggiungono altre. La giornata scorre , anzi corre : dentro e fuori, salgo e scendo, apro e chiudo, pago e compro, apparecchio e sparecchio, cucino e lavo, la solita routine..quando capita che passo davanti alla finestrella che si affaccia sulle scale: è piccola e incornicia un fazzoletto di giardino. Il prato è verdissimo. Le foglie gialle e rosse sono sparse dal vento con ordine e bellezza. Se ne stanno li , tranquille..immobili..e in questo momento si adempie il loro destino: donarmi calma e serenità in una giornata frenetica e grigia. Rallento. Vado a scuotere la tovaglia fuori e mi godo lo spettacolo, l’aria umida mi rinfresca il viso e mi ricorda di respirare a fondo e sorridere..la giornata finisce con un altro colore. Senza accelerare la lista si accorcia e accetto di finire domani cosa non ho potuto fare oggi..i colori dell autunno mi accompagnano e come un giardino zen: fanno bene all’anima.
Le stazioni ferroviarie hanno sempre il cielo grigio. O almeno così a me sembra. È come se il ferro delle rotaie si riflettesse in cielo. Se anche gli uccellini cinguettassero in cielo in piena primavera il loro spensierato canto sarebbe sopraffatto dal fragore dei treni ad alta velocità o dallo stridio dei freni dei vecchi regionali. Le stazioni sono piccoli mondi a sé , sempre alla periferia del cuore delle città . Ci sono i pendolari che come automi leggono (un tempo i giornali ora i cellulari) sicuri che i loro piedi non sbaglieranno il binario . Difficilmente corrono i pendolari : forse prevedono anche i ritardi. Si mimetizzano coi treni, in gruppo fanno parte dell’atmosfera. Poi ci sono gli occasionali. Loro sì sono di corsa : sudati e col sospetto di essere sempre in ritardo o sul binario sbagliato. Si guardano intorno attenti fingendo padronanza di sé e della situazione… a volte con un sorriso imbarazzato chiedono per sicurezza ma finché non sono seduti in carrozza resta sempre un piccolo sospetto. I pendolari dormono in treno e si svegliano magicamente alla loro fermata. Gli occasionali non tolgono nemmeno il cappotto e appena compare il cartello della città scattano , ma con calma, davanti alla porta. Poi ci sono quelli che ci vivono in stazione. Il giornalaio, il barista , il poliziotto, il senzatetto, lo spacciatore, i ragazzini che saltano scuola… anche loro sono punti fissi e sicuri di questo piccolo mondo in movimento. Io sto nel mezzo. Ero pendolare, sono occasionale. Viaggiare in treno permette di osservare gente e paesaggi con occhi rilassati. Permette di leggere e ricordare. Si può progettare e portare avanti i desideri inseguendo la corsa del treno sulle rotaie. Fuori il cielo è grigio anche fuori dalla stazione. Piove. La campagna è in pieno autunno. Un autunno tiepido e umido. La meta non è lontana ma ho tutto il tempo per godermi il viaggio senza troppi programmi. Scendo e seguo la folla verso l’uscita, mi lascio trasportare fuori, all’aria aperta e il cielo qui è azzurro! Ho un appuntamento più tardi e posso camminare lungo vie nuove verso il centro sperando in chissà quali novità e constatando che invece i franchising stanno omologando tutto. Allora decido di cambiare la direzione e svolto nelle stradine laterali dove piccoli negozi e attività resistono con la loro identità . Vago zigzagando , e man mano che mi avvicino al duomo i prezzi si alzano e i bar diventano ristoranti o sofisticate trattorie. Ci sono i carabinieri che piantonano il duomo e questo mi dispiace : un mitra davanti a una chiesa , seppur per difesa, non è mai un bel segnale. Arriva mezzogiorno e i passanti si diradano: chi torna a casa e chi si siede per mangiare un boccone, e chi come me aspetta per non mangiare sola. È una città universitaria e addentrandosi nel quartiere che da mille anni vede studenti e professori si respira aria fresca, allegra, stimolante, c’ è voglia di crescere e anche le foglie sugli alberi , sebbene autunnali e prossime a cadere, resistono per illuminare l’atmosfera e non perdersi lo spettacolo di tanta vitalità ! Si mangia con poco , in piedi perché qui c è altro da fare. Io passeggio curiosa scoprendo col mio compagno di pranzo i piccoli segreti di questo quartiere , gustando la sua soddisfazione e il mio stupore… e penso già a una prossima volta. Viene buio presto, il tempo vola parlando delle diverse impressioni e riflessioni che si fanno fuori casa, noi due un po’ turisti un po’ residenti, un po’ stranieri ma con la stessa pronuncia . Il tempo vola e il treno del ritorno ci aspetta in stazione. E se di giorno il cielo è grigio di sera diventa nero. Ma il cuore è leggero perché capita che queste giornate che portano semplicemente aria nuova siano uno squarcio di sereno dopo giorni pesanti e preoccupati, dopo giornate frenetiche di cui si ricorda poco, dopo momenti tristi e affaticati. Capita che basta uscire senza fare nulla di speciale se non stare insieme a chi vuoi bene godendo con calma dei momenti presenti che diventano così ricordi vividi, rincuoranti con nuove speranze. Scendiamo sui binari della nostra città col bavero alzato. La bici è ancora li legata al palo, e non ho voglia di tornare a casa per riprendere la routine. Però ho tante piccole cose da raccontare e siccome ne ho tante ancora da scoprire mi consolo pensando alla prossima trasferta.
Un sabato sera insolito : concerto per beneficenza in cattedrale. Il programma prevede la messa da Requiem di Mozart. Mi lascia un po’ perplessa la scelta di quest’ opera in quanto si tratta di sostenere una casa di cura per malati. E non voglio commentare. Resta che questa messa è un capolavoro. Non può non piacere, non può non commuovere, può solo arrivare al cuore, o meglio, all’anima di tutti. È universalmente bella e senza tempo. E io non vedo l’ora! Finalmente l’attesa è finita. Un solo timore : la cattedrale è notoriamente gelida e senza possibilità di riscaldamento , ma, spero, ci penserà la musica a riscaldarmi. Arriviamo presto e c è già aria di emozione. Fuori dalla porta le maschere controllano i biglietti mentre le coriste e i giovani musicisti già vestiti da concerto entrano ed escono liberamente aspettando amici e famigliari che verranno ad ascoltarli. Vengono da fuori città e si muovono come padroni di una casa non loro: sui loro volti si leggono orgoglio e insicurezza , eccitazione e padronanza. Nella navata le sedie sono tantissime e molto vicine: credo che ci scalderemo così prima che con la musica. Gente elegantissima, elegante o casual..non importa : tutti sono in attesa di un evento unico, che si è già suonato e si suonerà ma non sarà mai uguale agli altri e già questo è di per sé un valore. Chi saluta , chi legge il programma , chi cerca un amico, chi appoggia uno spartito, chi controlla il microfono, chi si confronta con un collega… e poi il silenzio. Nessuno lo chiede ma tutti avvertono che deve farsi Il Silenzio. Le scale del duomo fanno da palco ai numerosi coristi. Entra l’orchestra e con piacere noto la grande maggioranza di musici giovani, uno ha i capelli biondi lunghi e spettinati e se non fosse per il frac nero potrei immaginarlo tranquillamente in una galleria di un metrò. Il primo violino dà la nota e tutti si accordano con lui. È già musica , è già magia. Dissonanze armoniche che trattengono il fiato. Il direttore entra per ultimo e con autorevole solennità alza la bacchetta . L’aria è sospesa. Il tempo è sospeso. Un secondo . Le note sentite tante volte risvegliano la memoria e innalzano i pensieri… le note, le voci , gli strumenti sono la preghiera di un uomo, geniale ma imperfetto che si abbandona e cede a un Dio che crede misericordioso, a un Dio che parla la sua lingua, che ispira la sua musica, di più, che ispira la sua vita! C è speranza, fiducia, paura : c è l’Uomo , tutto l’Uomo. E c è Dio. Il tempo da sospeso che era volteggia tra soprani e violoncelli, si insegue nelle fughe e contempla nel “Lacrimosa”. Il tempo adesso vola fino a che anche i bis e gli applausi finiscono e la musica celestiale viene sostituita dallo scricchiolio delle sedie e dalle voci che commentano. Si temporeggia. Come se uscire dalla chiesa potesse farci dimenticare tutto, e invece nei freddi passi della sera la poesia del suono ci resta addosso come porporina dopo un party. Si vede che abbiamo temporeggiato a lungo in chiesa perché dal retro , quasi irriconoscibili, escono in borghese il direttore con alcuni orchestrali smontando il semplice allestimento per la prossima esecuzione. Per chi ascolta ogni concerto è un evento unico. Invece adesso si vede il retroscena , si coglie l’aspetto più prosaico e si percepisce la routine di chi vive di tanta bellezza. Rifletto sulle lunghe ore di studio, ripetitive , perfezionabili, viaggianti. Mi sorprendo a pensare questi artisti al pranzo di Natale, a un colloquio coi professori, a fare la spesa.orse il giovane coi capelli lunghi che suonava il violoncello arrotonda davvero divertendosi a suonare Jazz nelle piazze del mondo, forse il trombettista, che tra un Kirye e un Sanctus continuava a guardare l’orologio, temeva di perdere il treno. Sorrido da sola sotto la sciarpa,che bello però: la musica come quotidiano, ne guadagna il quotidiano o la musica ne soffre? Non lo so, spero la prima, intanto anche noi ritorniamo a casa canticchiando sottovoce, mantenendo così vive le note nei vicoli dietro la chiesa, e i nostri passi sul selciato bagnato hanno lo stesso suono di quelli a Salisburgo tanti anni fa.
Capita che vuoi aiutare un’amica e ne ricevi un regalo inaspettato. Una ricettina semplice semplice… un gusto un po’ esotico e un po’ natalizio… specchio dei tempi… piacevole contaminazione… eccola qua:
Cuscus delle feste: (per 4 persone )pesate 150 gr di cuscus in una ciotola e osservate il volume che occupa. Stendete il cuscus in un piatto largo e mettete a bollire tanta acqua quanto era il volume del cuscus nella ciotola. Al bollore versatelo sul cuscus e lasciate riposare SENZA mescolare finché l’acqua non si è assorbita tutta. A quel punto con una forchetta sgranatelo bene e conditelo con 40 grammi di burro fuso con 40 gr di miele, scorza d’arancia e/o limone grattugiata , pinoli, uvetta rinvenuta (in acqua tiepida o marsala se vi piace) e poi strizzata, e poi cannella, fichi secchi e datteri a vostro gusto. A fine pasto stendete un po’ di cuscus, magari tiepidino, sul fondo di una ciotola e accompagnatelo con una bella palla di gelato alla crema. Buon Natale!