Ad andare a letto con le galline ci si sveglia con il gallo. Un fascio di luce accogliente come una carezza faceva capolino dalla piccola finestra in fondo alla stanza. La luce violetta dell’alba estiva e del cielo limpido lentamente virava all’azzurro mentre noi indugiavamo nel sacco a pelo illudendoci di rimandare la prossima tappa: 7 ore, 16,5 km, 950 mt di salita e 850 mt di discesa. Sperando in una colazione all’altezza della cena precedente, zitte e spettinate, ripieghiamo la coperta, sistemiamo lo zaino, ci laviamo con acqua fresca per non consumare elettricità e ci prepariamo in relativo silenzio alla giornata che ci aspetta: per ora sono solo numeri e un nome, Mulino di Laval, ma diventeranno una storia vera. Sul tavolo di legno pulito troviamo frutta, pane fresco e marmellate artigianali mentre fuori i fiori stiracchiano i petali e il gatto torna dalla caccia notturna. Dal piano di sopra compare il sorriso di ieri sera “Gradite latte? The?” e noi all’unisono accettiamo un ottimo caffè nero e bollente, ideale per cominciare la giornata. Il sole é sbucato sopra le cime e noi,un poco a malincuore, lasciamo questo posto incantevole rallentando il distacco facendo ancora con qualche foto…”Aspettate!!” Nella quiete dell’alpeggio giunge la voce affannata e squillante che in realtà aspettavamo, e quel sorriso che ci ha accolto e accudito in questo paradiso rivela il suo nome e ci lascia un contatto: non si sa mai! Per tutti e quattro qualcosa aveva toccato il cuore e speravamo di mantenere un ricordo, un forte, seppur breve, legame. Grazie Marco!!
Allegre, stupite, quasi euforiche ci incamminiamo chiacchierando animatamente delle tante cose belle avvenute in così poco tempo. Un cucciolo di cerbiatto spaventato ci taglia la strada e io ,abituata alla natura dei documentari, resto impalata e incredula. Si parla e si sale…e si arriva a un punto morto! Abbiamo perso il bivio del nostro sentiero. Preoccupate torniamo indietro e aguzzando la vista tra l’erba alta e i tronchi radi ritroviamo la giusta direzione. Ho paura. Il bosco è bellissimo ma siamo assolutamente sole. Il sentiero c’è ma è poco visibile. E se compaiono altri animali? Non l’avevo messo in conto. E se sbagliamo ancora? Passo una mezz’ora difficile in cui l’incanto e la magia svaniscono rivelando all’improvviso tutti i potenziali rischi e pericoli. E soprattutto la mia inesperienza. Ogni passo è un’incognita e sento più questo disagio che la fatica della salita. Lentamente gli occhi vedono in un altro modo, le orecchie ascoltano altri rumori, e tutti i sensi sono alla scoperta della mia fragilità e delle mie paure. Le zie cantano, a volte si siedono per riposare e apprezzare il posto, i segnali si fanno più frequenti così io, lentamente, mi rilasso godendo la meraviglia del bosco e del panorama. A pranzo, sul Colle di Costa Piana, dopo 5 ore di cammino la generosità di Marco ci rifocilla con squisiti pane e toma mentre noi, sedute all’ombra e coi piedi scalzi, osserviamo la valle che finalmente scende davanti a noi. Il sentiero si snoda lunghissimo prima nei prati fioriti, attraversa rigagnoli e torrentelli, poi si insinua in boschi luminosi finché a metà pomeriggio arriviamo al piccolo villaggio ordinato di Allevé che, dopo tanta solitudine, ci conforta con caffè e torta di mele. Ormai ci siamo e gli ultimi kilometri, seppur in discesa, sono più faticosi dei precedenti: l’asfalto duro non perdona le ginocchia ma soprattutto ci ricorda quel pianeta cittadino che avevamo lasciato ai piedi della ferrovia. Il cuore e la mente però, come vedessero un film, rivivono il panorama e le emozioni vissute dal primo all’ultimo passo, e la minestra calda e la cameretta pulita del rifugio sono la chiosa perfetta alla giornata.
Il torrente Chisone, nel suo ampio letto di sassi chiari saltella e scende al chiaro di luna accompagnando col suo canto il nostro silenzio ricco di gratitudine, ricordi e infine sogni.
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