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Passo passo.

lunedì 7 maggio 2018

Passo passo.

 Questa volta non ho una storia che parla di mani laboriose e appassionate.
Questa volta ho tante storie che attraverso i miei passi si sono collegate. Come fanno le note sul pentagramma che creano musica da sette righe parallele: senza le note il pentagramma è sordo, senza il pentagramma le note sono mute.
 Mi piace pensare ai miei passi come a una musica o a una danza. Mi piace pensare che i mei passi non erano soli. Mi piace aver capito che “ fare un cammino” serve per “fare cammino” sempre.
Tanto per capirci , ma solo per dare un colore e aiutare l’immaginazione, ho fatto con amici uno di quei cammini che da secoli portano le più disparate persone a camminare svariati kilometri pensando di raggiungere una meta e trovare sé stessi (da soli o in compagnia) lungo il percorso.
Tralasciamo gli aspetti tecnici, la mia attenzione si è focalizzata sulle piccole cose.
Sulle cose trasparenti.
Sulle cose insignificanti.
Sulle cose semplici.
Sulle cose ferme mentre io mi muovevo.
 Primo giorno.
Si parte da una cittadina sul mare, porto militare da sempre, punto strategico dai tempi dell’Invincibile Armada . Strade umide e deserte, la  luce vivida e limpida della primavera , case belle con le caratteristiche verande di vetro e negozi sfitti e abbandonati vittime della crisi. In questa ambientazione il nostro semplice alloggio si nascondeva in una stradina defilata. Al banco  ci aspetta una piccola signora non più giovane coi suoi voluminosi capelli biondi stinti  che ci accoglie col sorriso intimorito di chi pensa “ che lingua parleranno? Cosa ci fanno qui dei pellegrini in questo periodo freddo?” . Per noi invece è un luogo caldo in cui riposare, un letto semplice prima di cominciare la nostra piccola impresa. Ambiente pulito e curato, colori e arredamento decisamente anni ‘70, ma piccoli particolari che mi fanno capire che ogni tanto la signora bionda cambia una foto, un fiore, un tappetino…per farci stare bene. Piccole attenzioni che , forse non lo sa, ma sono gocce di Bene che non andranno perse.
Al mattino alla luce giallina di vecchi lampadari la colazione semplice è servita con la cura e la lentezza di un nonno per i nipoti: spremuta e fette di pane casereccio tostato che mi fanno dimenticare un caffè un po’ troppo lungo. Ce ne andiamo coccolati da un’accoglienza di ben poche parole, quelle necessarie per darci indicazioni, sorrisi timidi e incuriositi da questa nuova moda del camminare , ai loro tempi si camminava inevitabilmente e per trovare sé stessi c’era poco tempo: si lavorava e basta, il loro mondo era tutto lì,  il mare nella vita.
Secondo giorno.
Dopo lunghi kilometeri di asfalto costeggiando il mare sulla destra e sfiorando infinite qualità di fiori sulla sinistra arriviamo in questa cittadina che sorge dove il fiume diventa mare, dove le barche dei pescatori sono appoggiate tranquille sull’arena aspettando l’alta marea. Gli stessi palazzi con le verande bianche e deserte, la stessa luce brillante e gli stessi negozi sfitti alternati a bar , lavanderie, e piccoli locali per mangiare squisito pesce fresco. Oggi il letto è in cima a una scala strettissima e ripida che nemmeno in Liguria ce n’è , in una stanzetta dove ci sta giusto il letto e un bagnetto dove ti muovi senza poter allargare le braccia. Ma la luce dalla finestra attira lo sguardo e si apre uno scorcio sulla piazzetta assolata dove bambini giocano e mamme chiacchierano all’ombra di alberi  carichi di arance. Potrebbe essere Sicilia, ma anche una qualsiasi piazzetta italiana con la luce marina del tramonto. La lingua è diversa ma i gesti i giochi le abitudini sono semplicemente umane. La mia giornata speciale si affaccia su un pomeriggio normale, e forse io da quassù ho il fragile privilegio di vederne il semplice  fascino.
Al mattino partiamo col solito cielo grigio e umido e con la solita colazione : spremuta d’arancia e pane tostato, mentre nel bar vengono serviti caffè ai soliti clienti , forse pescatori svegli da tempo, forse anziani soli, forse il postino che cerca ristoro; mentre fuori dalla vetrina bambine con lo zaino vanno a scuola a piedi chiacchierando e ridendo: l’adolescenza parla la solita lingua.
Terzo giorno.
Infiniti boschi di eucalipto. Profumo nell’aria bagnata se tira vento. Corteccia sfogliata sui tronchi grigi , altissimi e ritti, sottobosco di felci che srotolano piccoli bozzoli verdi in larghe foglie ombrose. Terra rossa che sembra Africa. Pioggia e sole. Orti contadini e boschi di querce.  …e sempre fiori…fiori semplici e vari che se ne stanno lì nella loro Bellezza senza nessun altra utilità che rendere il nostro cammino più bello e gioioso…e penso a come sarebbe difficile e faticoso camminare senza di loro, senza il sorriso di una corolla di cui non so nemmeno il nome.
Arrivati alla meta la signorina al banco dell’accoglienza ci salva il cammino. Con premura, precisione e gentilezza ci avvisa che il cammino di domani ha cambiato percorso da poco tempo e ci evita di perderci in queste campagne che non conosciamo. E mi fa riflettere su quante persone “angeliche” nel mio cammino quotidiano mi aiutano a non sbagliare strada…e mi fa riflettere su quanto anche io posso esserlo per altri…non è atto dovuto, ma come quella ragazza imparo a fare di più : la sua goccia di Bene è stata davvero preziosa. Grazie alle sue indicazioni ci sentiamo sicuri ed esperti, e quella precisazione “attenti c’è una freccia che può sfuggire:::” ci sembra superflua: abbiamo imparato a cercare i segni del percorso .
Quarto giorno.
Prati gialli, di erba medica credo, che col loro bagliore diradano la solita nebbiolina leggera che ci avvolge al mattino.
Prati gialli e boschi verdissimi di pini marittimi, abeti e palme: ce n’è per tutti i climi, in ogni momento può essere Natale così come Ferragosto. Il sentiero si snoda fluido in questa natura, uccellini dai svariati canti accompagnano i passi, camminiamo in silenzio di parole cullati dal loro cinguettio…Tutta questa pace si vede che addormenta un poco la nostra attenzione e non troviamo più i soliti segni. Timore. Sfiducia. Indecisione. Che si fa? Dove si va adesso? Intorno campagna deserta. Case aperte ma disabitate. Solo un anziano ci da indicazioni nel suo dialetto incomprensibile,dice andate avanti, ma dove? Un’ elegante signora si ferma e dall’auto grigia conferma di proseguire, ma non è convincente. Poi dall’ apparente nulla che ci circonda emerge un viso semplice e rassicurante , non capiamo la sua lingua ma capiamo dove dobbiamo ritrovare la strada. E come dal nulla è emersa nel nulla ritorna. Il sollievo è tale che in pochi passi troviamo la famigerata freccia nascosta e ci sentiamo di nuovo sicuri e spavaldi con rinnovata energia.
Solo allora posso capire cosa significa perdersi…farsi aiutare…e ritrovare la direzione…quante volte mi è successo nella vita!
Quinto giorno.
Sveglia all’alba. Fuori è freddo, l’aria è bagnata, ma sopratutto è buio, molto buio. Le pile frontali servono solo per illuminare il prossimo passo. Scherziamo per vincere l’imbarazzo di una situazione insolita: quando mai camminiamo fuori al buio costantemente illuminati come siamo da lampade e lampioni che spengono le stelle e addormentalo l’udito.
Invece adesso il cielo è bellissimo, e capisco a chi si ispiravano gli artigiani che facevano cieli blu stellati nelle cripte o nei mosaici bizantini.
Invece adesso sento il rumore dei miei passi sulla sentiero sassoso.
Invece adesso sento la musica dell’alba che seppur si preannunci meno limpida ha una sinfonia di suoni bellissima: uccellini, animali, fruscii…tutto si sveglia dolcemente finché la mia torcia diventa ridicola e scopro attorno a me il panorama che il buio avvolgeva.
Arriviamo alla meta e già mi manca il cammino. Come finire un libro bellissimo sembra che tutto si blocchi e non sappiamo come procedere. Come se oltre la meta davvero finisse il mondo e il tempo.
Piano piano la vita quotidiana ritorna e maternamente ci fa vedere che un poi c’è sempre.  
Piano piano l’esperienza fa sbocciare i suoi fiori e maturare i suoi frutti.
Piano piano, passo passo comprendo l’importanza di quelle colazioni semplici ma nutrienti: era la lentezza e la cura che davano energia, era il fornaio che mentre dormivo sfornava il pane, e quel barista gentile che spremeva frutta fresca e mi serviva un buon caffe…
Passo passo capisco che la salita si alterna sempre al piano o alla discesa; che dopo il sudore c’è il riposo; che non sono sola e che gli altri sono preziosi e poi capisco bene quanto l’ essenzialità sia leggera e agile mentre il superfluo goffo e pesante.
Passo passo comprendo dai fiori lungo il cammino , spesso nel fango o lungo fossi incolti, quanto si importante la Bellezza. Capisco che  la Bellezza non è importante , è necessaria perché è quel quid in più che veste  di Amore le cose utili e vere. Senza quei fiori che sentiero spento sarebbe stato…
Passo passo capisco che fortunatamente il cammino, il mio cammino, è cominciato col primo vagito e non credo finirà. O meglio potrebbe interrompersi ogi volta che non avrò lentezza e cura, ogni volta che non coglierò il sorriso d’aiuto, ogni volta che non vedrò Bellezza, ogni volta che non mi metterò in ascolto del Bene o non spegnerò la mia torcia frontale per fidarmi della Natura e sentirla respirare e cantare.
Passo passo…ogni giorno…ogni battito…ogni respiro…
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  1. “Questa volta ho tante storie che attraverso i miei passi si sono collegate”
    Venerdì mattina sei venuta da me e con la tua presenza mi hai portato molti ricordi.
    Ricordi della mia vita e di persone a te care.
    Felice di far parte di una storia lungo il tuo cammino.

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