L’attesa è una nebbia.
Un moto immobile.
Un tempo senza cronometro.
Una speranza che non cede alla certezza e a volte nemmeno all’evidenza.
Che duri un minuto, un mese un anno è infinita nel mentre, svanisce come bolla quando incontra la realtà.
Dà coraggio nella pena. E’ euforica nella gioia.
E’ faticosa, rende inquieti, è anche pesante tanto quanto il sollievo della sua fine è leggero.
Eppure , nonostante questi tratti comuni, ce ne sono di tanti tipi.
Raccolgo ricordi sui banchi di scuola, lontani nel tempo ma sentendo ancora la polvere di gesso sulle mani e quell’odore di polvere misto a sudore e fondotinta…
La prof ci avrebbe fatto ragionare: “attendere”, cioè “ad-tendere”, tendere a…un movimento quindi. Eppure in questo moto a luogo, insito nella parola, alberga anche la staticità di chi attende qualcosa o qualcuno.
E’ un cortocircuito, un ossimoro tra le lettere.
E’ uno stato di moto. O un moto statico.
Adesso sono qui, in questo corridoio ricoperto di pratico linoleum giallino e verdino in attesa che papà esca dal comparto operatorio, quello spazio vietato, quella porta invalicabile, sulla quale i nostri cuori e le nostre paure restano appoggiati, preoccupati, instancabili.
Ho già perso la cognizione del tempo, gli unici indicatori sono il mal di schiena per le sedie scomode e le gambe informicolate. Avrei da leggere, ma metà del mio essere è ferma li che legge sulla porta “divieto d’accesso”. L’altra metà, nutrita dalle varie serie tv ospedaliere , può solo provare ad immaginare cosa sta succedendo. Le divise verdi e gli zoccoli di gomma rompono il sibilo dell’aria condizionata. Avvolti in lunghi camici con le cuffiette rosa in testa parlano dei figli o si fanno gli auguri di Natale. Io il Natale lo passerò qui dentro, ma penso che se papà esce che sta bene sarà comunque un buon Natale.. Loro vanno, vengono, lavorano. Io resto, aspetto, spero…
Il loro tempo scorre in sintonia con l’orologio, il mio tempo è in assenza di gravità, sospeso. Quando poi racconterò com’è andata ogni secondo tornerà pesante e terreno,restando ricordo diventando esperienza. Mi sembra già un secolo che sono qui, ma l’occhio mi cade sull’orologio a parete dove la luce blu lampeggiante mi dice che è solo mezz’ora. Ci fosse una finestra potrei almeno vedere il mondo che vive la sua normalità. Mi dico che ogni tanto dovrei ricordare con un pensiero o una preghiera mentre faccio la spesa o sono in coda la semaforo chi è qui dentro in questo limbo tra quello che era e quel che sarà.
E’ la stessa attesa anche prima di un esame,di una visita o di un incontro importante.
I giorni prima fluttuano in un’apparente normalità, si mangia, si dorme, si chatta, si parla…eppure sappiamo che in un momento, come un taglio chirurgico, tutto non sarà più come prima.
Il voto dell’esame, il responso di una visita, oppure soltanto avere davanti quel volto atteso che farà soltanto una delle mille espressioni che avremo immaginato, che dirà soltanto alcune delle parole per le quali ci eravamo preparati una risposta…ecco in quel momento tutto riprenderà il suo corso, la vita riprenderà a snocciolare i suoi secondi nel tempo concreto dei passi per strada, delle cose da fare, delle notti per riposare.
L’attesa è quello spazio bianco dopo il punto prima della maiuscola a capo.
Un salto sospeso.
Un respiro contratto. Un timore, un “se”…
Spesso non è piacevole, a volte anzi è proprio dolorosa, Capita anche che ci deluda o ci ferisca. E allora come acqua ossigenata sulla ferita brucia fino allo stomaco e sembra resti per sempre tutto così : un fuoco che annienta. Invece passa. Lentamente ci si riprende, altre cose, ignare del nostro dolore, ci obbligano a reagire a fare altro, e lo sguardo è costretto a scoprire nuovi colori, magari altri sorrisi, altri balsami che rimarginino la ferita. La cicatrice resta, a ricordarci che può capitare la sofferenza e che il dolore può farci crescere e addirittura arricchire.
Può. Ma bisogna alzare lo sguardo: la fatica, anche se a caro prezzo, sarà premiata.
Altre volte invece attendiamo qualcosa o qualcuno di bellissimo e oscilliamo tra il “non vedo l’ora” e “ aspetta..prima arriva prima finisce e io non voglio che finisca!” come sull’altalena da bambini quando a bocca aperta si tratteneva il respiro salendo fino a toccare i rami degli alberi altrimenti irraggiungibili e poi scendendo ancorati alle catene per non cadere guardando il selciato diventare tondo come il nostro dondolio…
Poi il bellissimo arriva ed è tutto un fuoco d’artificio silenzioso e colorato che scoppietta nella testa, nella pancia, nel cuore. L’emozione è così forte che rischia di addormentare la memoria, a meno che non ci sia un particolare buffo o sbagliato in tutta questa perfezione che, come un gancio dei ricordi, ci permetterà di ripescare tutta la Bellezza del momento e riavvolgere il film e,magari rivivere, ogni singolo colore e scoppiettio.
Curioso questo moto immobile così necessario e vivificante.
Ci stanca, ci snerva ma senza di lui la vita sarebbe una noia mortifera.
Ci ferisce e ci esalta ma senza sarebbe tutto solo in bianco e nero.
E penso che vorrei accantonare l’ansia che può dare ma nutrirmi, grata, dello stupore vitale che sempre genera.
C’è solo un’ attesa che non possiamo permetterci: quella che ci trattiene dall’essere persone umane, quella che ci frena dal fare gesti d’amore sia quotidiani che coraggiosi, quella che ci nasconde che amare non è tanto coraggio ma la nostra più intima e vera essenza oltre che la nostra unica fonte di Gioia e Vita.
Che la nebbia ti avvolga in un forte affettuoso abbraccio.
grazie Marzia! Spero che per tutti ci sia un’attesa gioiosa non troppo lontana…e che il cammino per raggiungerla sia pieno di sole, le nuvole solo per fare ombra e fresco!
BB
È davvero valsa la pena di attendere la quiete della sera per leggere i tuoi fluidi vividi nebbiosi pensieri… 😉
meno male!! spero contribuiscano a un sonno tranquillo…nebbioso come i sogni sanno essere che svelano pensieri e desideri piano piano come la nebbia che si dirada poi al mattino..😘