“Un mese” fu la risposta.
“Per quanto tempo non posso bere caffè?” era stata la domanda.
Un mese sono 30 giorni, 30 colazioni e 30 fine pasto senza quel rito che dava l’avvio alla giornata o concludeva la tappa del pranzo. La mia mente, molto poco matematica, totalizzò senza fatica 60 momenti di puro piacere annullati in 2 parole. Il mio cuore non poté quantificare le chiacchiere, la cura, la condivisione, il profumo, o anche solo il perdersi guardando fuori dalla finestra per il tempo necessario a bere quei pochi sorsi aromatici, italianissimi ed esotici allo stesso tempo.
“Ha provato il caffè di cicoria? E’ buonissimo!” Così, con disagio, portai a casa questo pacchettino che esaltava profumi e sapori di caramello. A me il caramello piacerebbe anche, ma non nella tazzina. Ne provo uno. Ammetto che da quei sassolini marroni che, chissà come, derivano da una pianta verde e amara, ne esce una bevanda buona, piacevole, dall’effettivo retrogusto caramellato. Ma non chiamatelo caffè. A parte il gusto cambia anche tutta l’atmosfera: non ci si aspetta la mattina per berlo insieme (mi guardano con pietosa comprensione) e mi è difficile perdermi con lo sguardo e coi pensieri bevendo questa cosa buona ma senza grinta; non riesco a dire a un’amica “vuoi una tazza di cicoria?” perderei la sua fiducia; non fa nemmeno quel simpatico borbottio nella moka che, come una nonna affettuosa, mi chiama per coccolarmi… Vabbé, è buono e mi ci abituerò. Ma cambiamo il nome, perché chiamarlo caffè è ingannevole. Crea aspettative e poi delude, mentre invece se ha un suo nome prende dignità e carattere nel rispetto delle sue molte proprietà naturali molto importanti. Come dire “ragù di tofu” . Io l’ho mangiato e può essere un sugo davvero buonissimo ma non è ragù!! Non ci sono i gesti sapienti della cuoca che lo sorveglia mentre prepara la sfoglia cantando “bella ciao” o “‘o sole mio”. Il ragù è uno, il sugo vegano è un altro, lascio agli esperti di linguistica la ricerca per un nome che renda merito al sano tofu e non rubi i sogni di chi sta per gustarsi le tagliatelle sperando nel ragù!
E i nostri gesti nuovi in questo periodo che non si sa se è una parentesi o un punto a capo? Personalmente aborro l’idea di sostituire un abbraccio con una gomitata. Non è toccarsi con un punto lontano che può trasmettere tutta la carica emotiva di un abbraccio vero. Io col gomito non sento che il mio voler bene si dona e si arricchisce del tuo volermi bene. Non c’è nulla che mi conforta, mi contiene, che esprime affettuosa gioia o può ricevere conforto come un vero abbraccio, unico gesto direi d’amore che è lecito con tutti senza creare tradimenti. Non vedo più i sorrisi, espressioni più delicate del nostro pensiero. Possono sfuggire rivelando emozioni o possono ingannare nascondendo paure se non perfidie. Ma, se spesi bene, sono così belli! Abbiamo perso anche le strette di mano calorose e vigorose come piacciono a me, però evitiamo mani assenti, fredde e sudate così difficili da gestire con empatia.
Ma sono positiva. Voglio gustarmi quello che ho adesso: sguardi e parole. Gli occhi, uniche sentinelle sui bastioni delle mascherine, osservano ed esprimono tutto quello che il resto del viso e del corpo deve contenere e limitare. Se non si appannano gli occhiali sono i baluardi più o meno volontari dei nostri sentimenti. Sono la porta che lascia entrare ed uscire ciò che il cuore ha da dire o desidera ricevere. Sono le avanguardie che, attente, raccolgono dati per imparare a gestire questo cambio di rotta nella nebbia, questa battaglia contro un nemico piccolo e abitudini ingombranti. E le parole. Seppur ovattate possono essere taglienti. Seppur schermate possono colpire il bersaglio con precisione millimetrica. Seppur limitate possono, direi devono, poter esprimere tutto il bello che abbiamo da donare e possono tacere per saperlo ricevere serenamente. Ne potrei scoprire di nuove, di poco usate, di antiche…l’importante è che siano efficaci, pensate e scelte come si fa coi regali alle persone care. Parole piene di senso, parole musicali, donate e ricevute con attenzione. La parola,come l’abbraccio, ha bisogno di un prossimo per essere accolta, condivisa e ascoltata altrimenti cade muta e sorda, persa e inutile.
Occhi e parole, sguardi e voci saranno le nostre nuove sane alternative a qualcosa di bellissimo che prima o poi recupereremo e, magari, con rinnovata, consapevole e soprattutto emozionata gratitudine!
Chi è l'autore di MerakiBlog
Benedetta
Blogger, Viaggiatrice
Mi chiamo Benedetta, gloriosa classe '67...sono italianissima: nata e cresciuta in una piccola e bella città di provincia ho nonni e genitori che vengono da posti diversi, infatti in me scorre sangue trentino, veneto, lombardo, romano e sardo e ne sono orgogliosa! Questa condizione mi ha abituata all'importanza dell'avere orizzonti larghi, a voler scoprire e capire diverse abitudini e sensibilità.
Sono stata educata col senso del bello anche nelle piccole cose
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